Due Facce, Una Medaglia ~ Lindagine.it
Il titolo: "Due Facce, Una Medaglia" è stato scelto per comprendere in questa Lindagine due testi: "Tower Bridge" e "Homo Homini Humus". Sono due poesie tra loro collegate. Buona lettura.
"Tower Bridge"
Oltre una valle, ad intervalli alterni: un vuoto precipizio.
Un giudice tenta di oltrepassarlo, analizza ogni indizio.
Si lascia fuorviare, scompare, si chiude in camera di consiglio.
Abbozza solo una sentenza, ma non sarà quella a colmare l'abisso.
Ora è l'alba di un nuovo inizio, il giudice abbandona quel mare di dubbi;
senza sotterfugi, ora colma il precipizio, trova il giusto equilibrio.
Analizza apertamente, versa un mare di inchiostro tra le sponde.
Tu sai che per navigare un fondale non ci si può mai affidare solo allo studio delle onde.
Riuscirà a bilanciarle ad arte per costruire la torre del giudizio?
Solo levigando la roccia si allevia ogni pregiudizio;
Sai che puoi domare il dogma, ma non oltre l’indizio.
All rights reserved©️ Author: Linda Cianci (Lindagine)©️
1. Generalità
La poesia immagina un viaggio simbolico, un’odissea interiore, dove il “giudice” rappresenta ogni essere umano che affronta il proprio caos, le sue paure e i limiti della comprensione. Non è un giudice legale, giuridicamente inteso, ma una figura che esplora, analizza e cerca di costruire un equilibrio stabile tra ragione ed intuizione, passione, per attraversare il "precipizio" delle sfide personali.
La poesia richiama il tema chiave della resilienza ed autodisciplina de Lindagine precedente, ma oramai queste sono concezioni superate, nel senso che vanno e sono concepite come mere conseguenze di un ulteriore elemento chiave da riconoscere e padroneggiare: l'autoconsapevolezza. Solo da qui è possibile mantenere quelle abitudini che portano a grandi successi, si trova la forza di affrontare il tempo lento in una società frenetica e- rimanendo in tema - si riesce a traghettare tutto il precipizio, senza mollare la presa a metà, all'ultimo o anche all'inizio.
2. Struttura e simboli:
E' possibile cogliere ed identificare tre fasi del viaggio che deve compiere il giudice.
Quella di "caos e dubbio iniziale", in cui il “precipizio” è il simbolo del disordine interiore, delle paure e delle incertezze. Qui il giudice si perde, cercando una soluzione analitica, ma si ritrova bloccato perché affronta il vuoto con troppa rigidità. La prima lezione è che il precipizio non si colma con sentenze affrettate o un semplice studio razionale. Serve saper andare oltre. Serve autoconsapevolezza per riconoscere le paure profonde e trovare la forza di traghettarle.
La seconda fase è quella in cui si cerca di "trovare l’equilibrio". Il giudice, superata l’illusione di poter “dominare” l’abisso con il semplice metodo, riscopre la capacità di navigare con apertura e autenticità. Qui emerge il tema della resilienza, ma non come obiettivo finale, bensì come conseguenza naturale dell’autoconsapevolezza. Solo sapendo “perché” affronta il viaggio, il giudice riesce a colmare il precipizio e a costruire un ponte verso nuove possibilità. Il come adesso è razionalizzato, ma non rigidamente. L’immagine del "mare di inchiostro" richiama inoltre la necessità di confronto e riflessione, elementi essenziali per non rimanere imprigionati nei pregiudizi.
Ed infine la fase di "costruzione della Torre del Giudizio", in cui una volta colmato il vuoto. Il giudice deve levigare la “pietra grezza” dei propri pregiudizi per edificare la sua Torre del Giudizio. La Torre non è simbolo di dominio assoluto della ragione, ma di un equilibrio dinamico tra ciò che si può comprendere (l’indizio) e ciò che resterà sempre oltre la comprensione (il dogma). L’idea del “Tower Bridge” rappresenta il ponte tra il caos iniziale e la costruzione della ragione, ma anche la sfida continua ed infinita, per cui il giudice deve sempre rimanere pronto a rivedere le sue certezze e a imparare dall’esperienza.
I simboli centrali dunque attorno a cui ruota Lindagine del mese sono tre: il Precipizio, quale metafora del disordine interiore, delle sfide e delle paure da riconoscere ed affrontare. Il Ponte, che rappresenta il processo di crescita e la possibilità di connessione, di trovare il proprio perché, razionalizzando ma non rigidamente, pena la vittoria del dubbio e pregiudizi e del non equilibrio.. La Torre del Giudizio, intesa come inizio del nuovo viaggio e di ordine. Non è un punto d’arrivo. Essa è un sistema aperto che richiede un continuo dialogo interiore per mantenersi solida e pone la sfida al giudice di aver la capacità di rimanere sempre pronto a rivedere le sue certezze e a imparare dall’esperienza.
3. Oltre la Torre: un nuovo viaggio
La poesia lascia intuire che il completamento del ponte e la costruzione della Torre del Giudizio sono solo una tappa. La vera meta, per costruire e attraversare la torre, i suoi piani, limiti e livelli, si raggiunge imparando, paradossalmente, la cd. arte del non giudizio. Ciò non significa rifiutare il confronto o le decisioni, ma padroneggiare il momento in cui è necessario sospendere il giudizio, sui fatti e su se stessi, per aprirsi a nuove prospettive e dialoghi. È solo attraverso questo percorso che il giudice, latu sensu, potrà intraprendere nuovi viaggi di esplorazione interiore e della realtà circostante, aprendosi al confronto ed imparando a giudicare imparzialmente.
In sintesi, questa poesia è un invito a costruire il proprio ponte interiore, mantenendo un equilibrio dinamico tra autoconsapevolezza e apertura. Solo così si può attraversare ogni precipizio senza restare bloccati nel mezzo o in una vuota ed isolata "camera di consiglio", abbracciando l’idea che ogni giudizio, se ben fondato, è solo il punto di partenza per una nuova crescita.
Laddove la legge è un detto, ma non fa dettato.
Laddove il rogo è silente ed ogni atto abrogato.
Quanti siete che avete sete, qual è il vostro reato?
Chiunque sia assetato, condanni prima l’ego.
Così sussurra un ago; ora a chi giunge dal cielo:
“A voi che innalzate un muro: ferite o feritoie?
Senza un po’ di timore, nessun timone è stato mai preso;
e solo chi avrà il coraggio di abbandonare l’agio riconquisterà il cielo”.
Sai che a fare un passo indietro, talvolta si fan due passi avanti?
Cosa mai gioverà mai aver distrutto tutto, se rimaniamo distratti?
Ora l’ago sgonfia l’ego, si confronteranno le querce?
L’umiltà crea l’humus, il terreno è di nuovo fertile.
In fondo, nulla è impossibile per chi sa quando rimanere impassibile e sa quando smettere.
In fondo, la fermezza è un’insicurezza da confermare.
In fondo, è la spontaneità il ponte da ristrutturare.
Siamo dirigibili talvolta troppi rigidi che necessitan anche di saper dirottare.
In fondo è il nostro patto sociale:
cediamo il potrebbe essere, per l’essere razionale.
E se l’orgoglio è un orologio rotto,
la batteria si può cambiare.
All rights reserved©️ Author: Linda Cianci (Lindagine)©️
CHIAVE DI LETTURA:
1. Generalità
Il titolo "Homo Homini Humus" è una reinterpretazione dell'espressione "Homo Homini Lupus", detto latino il cui precedente più antico si legge nel commediografo Plauto e il più celebre nel Leviatano Hobbesiano. Si utilizza qui con un'accezione speculare: l’essere umano, anziché essere un predatore per i suoi simili, può essere “humus”, ossia terreno fertile per la crescita e la collaborazione.
In Tower Bridge abbiamo parlato di autoconsapevolezza, di conoscere i propri perché, ma sarebbe rimasto un concetto troppo astratto e banale se non avessimo indagato il come. Banalmente, andando sempre più a ritroso, comprendiamo che per essere consapevoli di sé e costruire poi a lungo termine un duraturo risultato pieno di vittorie, è necessario, ancor prima, saper padroneggiare un'altra arte: quella dell'umiltà. Questa è una delle sfide più complesse, ma forse proprio per questo la più bella e la più da ammirare, che porta ciascuno a confrontarsi con le proprie insicurezze radicate, con l'immagine di noi che vogliamo mantenere e ci siamo costruiti nel tempo, con il nostro orgoglio, paura del giudizio, necessità di proteggere se stessi e con le tante varianti e variabili, che intrecciano presente e passato. Indaghiamo il testo più nel dettaglio.
2. Elementi Chiave:
Fermezza e flessibilità: dirigere senza irrigidirsi. Dal gioco di parole dirigibili-rigidità si evince dalla poesia il concetto di bilanciamento tra fermezza e flessibilità. Essere troppo rigidi porta alla rottura, mentre essere troppo flessibili rischia di farci perdere la direzione. L’immagine del “dirigibile” che deve imparare a “dirottare” rappresenta questa necessità di trovare il giusto equilibrio: saper rimanere impassibili di fronte ai fraintendimenti ed imprevisti, ma anche essere pronti a cambiare rotta quando e se necessario, mettendosi in discussione e pensando criticamente.
3. Conclusione: umiltà come strumento di trasformazione
“Homo Homini Humus” è, in definitiva, un invito a riscoprire l’umiltà come base di ogni crescita personale e collettiva. Solo riconoscendo le nostre debolezze possiamo creare il terreno fertile per costruire una società più giusta e armonica. L’orgoglio, come un orologio rotto, può essere riparato, ma solo se siamo disposti a cambiare la batteria: ossia a rivedere le nostre convinzioni e a fare quei passi indietro che, come suggerisce la poesia, possono portarci molto più avanti se diamo retta all'esperienza e troviamo l'equilibrio.
Salve. Ho inviato una mail alla redazione per una collaborazione
RispondiEliminaRicevuta. A presto🔎
Elimina👏👏👏👏
RispondiEliminaGrazie! 🔎
EliminaGuru
RispondiEliminaGrazie, ma no, non credo 🔎😂
EliminaCome fai ad uscire dalla torre del giudizio senza giudizio? Non è contraddittorio?
RispondiEliminaCiao, grazie per la domanda e possibilità di chiarimento. Nelle Lindagini successive ci sarà, a suo tempo, modo di spiegare più accuratamente. Ci sono parecchi intrecci con gli elementi appena esposti, che sarebbe quasi impossibile scriverlo in una battuta. Qui, giusto per dare un cenno e iniziare a sbrogliare il nodo, si può fare un piccolo spoiler.
EliminaLa contraddizione richiamata è, in realtà, solo apparente. Il non giudizio, infatti, implica esso stesso un giudizio. Va inteso come quella fase primordiale e preliminare, prima della sua manifestazione vera e propria (sia essa con se stessi o con gli altri), che “impone” di mantenere una distanza fattuale ed emotiva. Solo così si può creare una condizione di partenza neutra, che permetterà di giudicare il fatto e se stessi senza essere legati a preconcetti o attivare meccanismi di difesa legati all’ego o all’insicurezza personale, che svierebbero dal “tendere” alla verità e minerebbero poi la formazione della propria umiltà- auto consapevolezza e, conseguentemente, la formazione e mantenimento della propria disciplina ed obiettivi. Tutto ciò porterebbe a priori infatti ad una chiusura del confronto interno ed esterno e condurrebbe a conflitti, o all’imposizione o alla fuga dalla propria opinione per proteggersi.
Quando si parla di “Non Giudizio” si intende dunque osservare e valutare un fatto e se stessi in modo oggettivo, senza attribuire e attribuirsi immediatamente un‘accezione di “giusto” o “sbagliato” e senza associare e associarsi subito un’etichetta morale o personale. Questo fa parte della fase successiva: la manifestazione del giudizio, a cui seguono altrettante altre regole, limiti e linee guida. Ma ci sarà modo di indagare a suo tempo.
Ti invito a leggere le prossime Lindagini quando si tratterà questo tema. Grazie ancora per la domanda e per la possibilità di chiarimento. Alla prossima 🔎